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Finale di partita di Samuel Beckettp per la regia di Massimo Castri


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Finale di partita di Samuel Beckett al Teatro nuovo Martedì 15 marzo grande attesa al Teatro Nuovo per la prima napoletana della rappresentazione dell'anno (Premio UBU 2010):Finale di partita di Samuel Beckett. 
Lo spettacolo, tratto da uno dei maggiori capolavori del Novecento (1957 prima rappresentazione a Londra, Royal Court Theatre, per la regia di Roger Blin) di uno dei mostri sacri del teatro del secolo scorso (nel 1969 Beckett venne insignito del Premio Nobel per la letteratura), si avvale - nella traduzione di Carlo Fruttero - della prestigiosa messinscena di Massimo Castri. L'attore e regista di Cortona, è da oltre quarantanni tra i più significativi interpreti del teatro classico e contemporaneo (da Sofocle, Euripide e Seneca a Scabia passando attraverso Calderon, Shakespeare, Goldoni, Goethe, Kleist, D'Annunzio, Pirandello, Cechov, Genet, Pasolini...) ed ha ha voluto misusarsi anche col grande drammaturgo irlandese.
Finale di partita è uno dei maggiori capolavori del Novecento (tra le più inquietanti produzioni di quel presunto "teatro dell'assurdo" di cui Beckett è espressione), testo a lungo analizzato dal grande filosofo e critico Adorno, come modello esemplare dell'opera d'arte che dichiara ed esalta la negatività del presente e che acquista senso solo nella sua mancanza di senso.
"Il mio lavoro è una questione di suoni fondamentali. Se qualcuno vuol farsi venire il mal di testa con i significati reconditi, faccia pure. E si procuri un'aspirina !". Così tagliò corto Samuel Beckett introducendo Finale di partita, ma anche in Aspettando Godot (altro capolavoro del drammaturgo irlandese), l'autore ha provveduto a sbriciolare il teatro borghese della tradizione con il progressivo svuotamento della forma teatrale dominante, prosciugandola dall'interno.
Così il dialogo rimane fine a se stesso e perde la sua funzione significante, rivelando la propria natura di puro pretesto verbale per la sola rappresentazione teatrale.
Un metateatro, dunque, in cui il personaggio serve a "dare la battuta" ed a chiedere "perché questa commedia tutti i giorni?" insomma a "fare la mossa" (nella metafora della partita a scacchi), per poter "recitare" fino al catacombale "non parliamo più".
Si consacra, quindi, l'inganno della parola e l'impossibità di comunicazione tra gli uomini attraverso il dialogo.
Inoltre i personaggi della pièce si imbattono anche nell'incapacità di relazioni e corrispondenze "fisiche": il protagonista Hamm è cieco e non può camminare, la sua controfigura-coprotagonista Clov non può sedersi, mentre i comprimari Nagg e Nel sono senza gambe e rinchiusi separamente in bidoni dell'immondizia, profetica metafora della condizione umana contemporanea.


Spettacolo teatrale Finale di partita L'analogia tra il contenuto di Finale di partita ed il gioco degli scacchi è stata espressa dallo stesso Beckett durante le prove dello spettacolo allo Schiller Theater di Berlino:"Hamm è il re in questa partita a scacchi persa fin dall'inizio. Nel finale fa delle mosse senza senso che soltanto un cattivo giocatore farebbe. Un bravo giocatore avrebbe già rinunciato da tempo. Sta soltanto cercando di rinviare la fine inevitabile".

Ne consegue l'estrema difficolta di una messinscena che si presenta, per tutti gli interpreti dello spettacolo, come una sfida immane ed affascinante, dagli esiti imprevedibili. Al riguardo richiamo l'inquietante allestimento di Federico Tiezzi(1992), l'eccezionale interpretazione (come Hamm e come regista) di Carlo Checchi(Premio UBU 1995) e, per ultimo, la più recente (2006) e discussa realizzazione di Finale di partita di Franco Branciaroli (con  un Hamm piuttosto brontolone, capriccioso e vanitoso).
Nell'intenso e suggestivo allestimento di Massimo Castri la scena (splendidamente realizzata da Maurizio Balò) contribuisce, nella sua asciutta nudità di bianchi e neri predominanti sotto luci grigie, alla visualizzazione di un metafisico spazio-scacchiera polisenso (palcoscenico, arca, bunker atomico, interno di un cranio umano) dove si rappresenta un definitivo scacco matto, come finale di partita.
Ad aprire il gioco è Clov un personaggio stralunato (il bravo Milutin Dapcevic) che si muove con un pesante e ritualmente ripetitivo ritmo claudicante nella grande scacchiera del palcoscenico, che esce e rientra con uno scaletto riproponendo, per qualche minuto, uno stesso percorso fatto di attraversamenti trasversali, salite, apertura delle due finestre in alto sui lati del palcoscenico, risate, discese, risalite, risate, ridiscese fino al conclusivo colpo di teatro, col disvelamento di Hamm sotto un telo.
Il principale protagonista (un Vittorio Franceshi efficace nella gestualità ed intenso nelle variazioni tonali) è seduto al centro del palcoscenico su una sedia a rotelle  e può cominciare il botta e risposta con la vittima-carnefice Clov fino all'ultimo " nascondimi sotto il lenzuolo" e conclusivo " vecchio finale di partita persa".
Solo più tardi appariranno, per brevi intervalli, dalle oscure profondità dei loro bidoni-cataletti, in cuffietta e camicia da notte, i progenitori di Hamm (Diana Hobel e Antonio Giuseppe Peligra) a pretendere, coi loro stomachevoli ma efficaci falsetti, cittadinanza attorica nella tragicomica pièce rappresentata.
E proprio sotto il segno del patetico e del grottesco (il falsetto di Nell) fiorisce l'esplosivo «non c’è niente di più comico dell’infelicità» una delle più celebri battute di Finale di partita.
Uno spettacolo intenso e misurato che procede, in maniera armoniosa e suggestiva, per un'ora e mezza attraverso l'equilibrio e la varietà tonale della recitazione, delle luci, dei suoni e che riceve dal numeroso pubblico un lungo e caloroso tributo. Rimane qualche perplessità: ma la lunga e sciancata passeggiata di Clov e alcuni suoi toni sopra le righe (qualche urlato) non hanno potuto suscitare nello spettatore la sensazione di una condizione piuttosto "fisica" della sua malattia?

Attilio Bonadies

Finale di partita di Samuel Beckettp per la regia di Massimo Castri è stato prodotto da Emilia Romagna Teatro Fondazione, Teatro di Roma, Teatro Metastasio Stabile della Toscana e sarà rappresentata al Teatro Nuovo di Napoli fino a domenica 20 marzo
 



                                                                     



Finale di partita di Samuel Beckettp per la regia di Massimo Castri è stato prodotto da Emilia Romagna Teatro Fondazione, Teatro di Roma, Teatro Metastasio Stabile
della Toscana e sarà rappresentata al Teatro Nuovo di Napoli fino a domenica 20 marzo

Finale di partita di Beckett-Castri

Martedì 15 marzo grande attesa al Teatro Nuovo per la prima napoletana della rappresentazione dell'anno (Premio
UBU 2010):Finale di partita di Samuel Beckett.
Lo spettacolo, tratto da uno dei maggiori capolavori del Novecento (1957 prima rappresentazione a Londra, Royal
Court Theatre, per la regia di Roger Blin) di uno dei mostri sacri del teatro del secolo scorso (nel 1969 Beckett
venne insignito del Premio Nobel per la letteratura), si avvale - nella traduzione di Carlo Fruttero - della
prestigiosa messinscena di Massimo Castri. L'attore e regista di Cortona, è da oltre quarantanni tra i più significativi
interpreti del teatro classico e contemporaneo (da Sofocle,Euripide e Seneca a Scabia passando attraverso Calderon,
Shakespeare, Goldoni, Goethe, Kleist, D'Annunzio, Pirandello, Cechov, Genet, Pasolini...) ed ha ha voluto misusarsi
anche col grande drammaturgo irlandese.
Finale di partita è uno dei maggiori capolavori del Novecento (tra le più inquietanti produzioni di quel presunto
"teatro dell'assurdo" di cui Beckett è espressione), testo a lungo analizzato dal grande filosofo e critico Adorno,
come modello esemplare dell'opera d'arte che dichiara ed esalta la negatività del presente e che acquista senso
solo nella sua mancanza di senso.
"Il mio lavoro è una questione di suoni fondamentali. Se qualcuno vuol farsi venire il mal di testa con i significati
reconditi, faccia pure. E si procuri un'aspirina !". Così Samuel Beckett introducendo Finale di partita, ma anche
in Aspettando Godot (altro capolavoro del drammaturgo irlandese), l'autore provvede a sbriciolare il teatro borghese
della tradizione con il progressivo svuotamento della forma teatrale dominante, prosciugandola dall'interno.
Così il dialogo rimane fine a se stesso e perde la sua funzione significante, rivelando la propria natura di puro
pretesto verbale per la sola rappresentazione teatrale.
Un metateatro, dunque, in cui il personaggio serve a "dare la battuta" ed a chiedere "("Perché questa commedia
tutti i giorni? insomma a "fare la mossa" (nella metafora della partita a scacchi), per poter "recitare" fino al
catacombale "non parliamo più".
Si consacra, quindi, l'inganno della parola e l'impossibità di comunicazione tra gli uomini attraverso il dialogo.
Inoltre i personaggi della pièce si imbattono anche nell'incapacità di relazioni e corrispondenze "fisiche":
il protagonista Hamm è cieco e non può camminare, la sua controfigura-coprotagonista Clov non può sedersi,
mentre i comprimari Nagg e Nel sono senza gambe e rinchiusi separamente in bidoni dell'immondizia, profetica
metafora della condizione umana contemporanea.
L'analogia tra il contenuto di Finale di partita ed il gioco degli scacchi è stata espressa dallo stesso Beckett
durante le prove dello spettacolo allo Schiller Theater di Berlino:"Hamm è il re in questa partita a scacchi persa
fin dall'inizio. Nel finale fa delle mosse senza senso che soltanto un cattivo giocatore farebbe. Un bravo giocatore
avrebbe già rinunciato da tempo. Sta soltanto cercando di rinviare la fine inevitabile".

Ne consegue l'estrema difficolta di una messinscena che si presenta, per tutti gli interpreti dello spettacolo,
come una sfida immane ed affascinante, dagli esiti imprevedibili. Al riguardo richiamo l'inquietante allestimento
di Federico Tiezzi(1992),l'eccezionale interpretazione (come Hamm e come regista) di Carlo Checchi(Premio UBU 1995)
e, per ultimo, la più recente (2006) e discussa realizzazione di Finale di partita di Franco Branciaroli (con
un Hamm piuttosto brontolone, capriccioso e vanitoso).
Nell'intenso e suggestivo allestimento di Massimo Castri la scena (splendidamente realizzata da Maurizio Balò)
contribuisce, nella sua asciutta nudità di bianchi e neri predominanti sotto luci grigie, alla visualizzazione
di un metafisico spazio-scacchiera polisenso (palcoscenico, arca, bunker atomico, interno di un cranio umano)
dove si rappresenta un definitivo scacco matto, come finale di partita.
Ad aprire il gioco è Clov un personaggio stralunato (il bravo Milutin Dapcevic) che si muove con un pesante e
ritualmente ripetitivo ritmo claudicante nella grande scacchiera del palcoscenico, che esce e rientra con uno
scaletto riproponendo, per qualche minuto, uno stesso percorso fatto di attraversamenti trasversali, salite,
apertura delle due finestre in alto sui lati del palcoscenico, risate, discese, risalite, risate, ridiscese fino
al conclusivo colpo di teatro, col disvelamento di Hamm sotto un telo.
Il principale protagonista (un Vittorio Franceshi efficace nella gestualità ed intenso nelle variazioni tonali)
è seduto al centro del palcoscenico su una sedia a rotelle e può cominciare il botta e risposta con la vittima
-carnefice Clov fino all'ultimo " nascondimi sotto il lenzuolo" e conclusivo " vecchio finale di partita persa"
Solo più tardi appariranno, per brevi intervalli, dalle oscure profondità dei loro bidoni-cataletti, in cuffietta
e camicia da notte, i progenitori di Hamm (Diana Hobel e Antonio Giuseppe Peligra) a pretendere, coi loro stomachevoli
ma efficaci falsetti, cittadinanza attorica nella tragicomica pièce rappresentata.
E proprio sotto il segno del patetico e del grottesco (il falsetto di Nell) nasce l'esplosivo «non c’è niente di
più comico dell’infelicità» una delle più celebri battute di Finale di partita.
Uno spettacolo intenso ed misurato che procede, in maniera armoniosa e suggestiva, per un'ora e mezza attraverso
l'equilibrio e la varietà tonale della recitazione, delle luci, dei suoni e che riceve dal numeroso pubblico un
lungo e caloroso tributo. Rimane qualche perplessità: ma la lunga e sciancata passeggiata di Clov e alcuni toni
sopra le righe (qualche urlato) non hanno potuto suscitare nello spettatore la sensazione di una condizione piuttosto
"fisica" della sua malattia?

Attilio Bonadies

Parole chiave: Finale di partita, Samuel Beckett, Massimo Castri, Vittorio Franceshi Milutin Dapcevic, Maurizio
Balò, Teatro Nuovo Napoli, Attilio Bonadies


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