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Al Giffoni Film Festival il cortometraggio 'Il pallone rosso' tratto da un racconto di Alfonso Gatto


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Cortometraggio il pallone rosso Martedì 27 luglio, nell’ambito del Giffoni Film Festival - sezione Verso sud – è stato proiettato il corto (14’, 38’’) Il pallone rosso, liberamente tratto da Il bambino Golia di Alfonso Gatto. Il video è stato girato a Salerno, prevalentemente nei luoghi gattiani del Centro Storico ed è stato interpretato da ragazzi che lo abitano. Sceneggiatura e regia di Attilio Bonadies e Mario Guarini direttore della fotografia Davide Scannapieco, montaggio di Luca De Marco sulle splendide musiche di Fiumanò Domenico Violi.
Riceviamo e volentieri pubblichiamo la nota del critico teatrale di InscenaOnline Francesco Tozza.


Sognava di volare, Alfonso Gatto:

il volo della poesia, per sfuggire alla realtà?

“Nasciamo dalla nostra memoria, stupiti, […] a distinguere le cose nel lento sguardo, a ritrovarle insistentemente prima di poterle chiamare con un nome”: sembra una dichiarazione di poetica cinematografica, gettata lì a sottolineare la prevalenza dello sguardo (filmico) sulla parola (poetica); sono, invece, frasi di un poeta (Alfonso Gatto) che, comunque, prestò il volto e la sua penna alla decima musa, e alla poesia – alla letteratura in genere – riconobbe la straordinaria capacità ritentiva della memoria, il suo perenne affondo nella “matrice del ricordo”, per immobilizzare  il flusso vitale (o almeno tentare di farlo), sottraendolo all’indistinzione preformale; ottenendone, tuttavia, solo relitti di gesti e parole, atomi di un tutto in perenne dispersione.

La letteratura, qui, parte svantaggiata: la scrittura è stabile e stabilizza; “la parola, che è sempre generale, ha sempre già mancato la cosa nominata” – sottolineava acutamente Blanchot, senza nulla togliere all’infinito intrattenimento che essa offre, all’insensato gioco di scrivere. Il cinema, forse, ha dalla sua qualcosa in più: la possibilità di un confronto più immediato, di un rapporto fattivo con il reale, senza ridondanze o ingorghi lessicali, con una sintassi più sobria, che – in apparenza almeno – rinuncia a  riprodurre una visione interiore. Non a caso la scrittura di Gatto si è lasciata caratterizzare da una progressiva (anche se non continua o rettilinea) scarnificazione prosastica, un abbandono del livello lirico a favore del narrativo, un’immersione nei generi misti e – se si tengono presenti i suoi manoscritti – il continuo ricorso a sforbiciature, furiosi tagli, colpi di penna blu, preceduti da categorici “No” che l’avvicinano al montaggio cinematografico, di cui è nota la concisione stilistica rispetto ai materiali di partenza (ma anche la molteplicità delle costruzioni possibili rispetto ad essi).

La scrittura (non soltanto quella del poeta salernitano, ovviamente) prende atto, così, anche dei suoi limiti, del suo inutile, oltre che impossibile, inseguimento della vita (“o si vive o si scrive” – ripeteva giustamente Pirandello!), dell’eccessivo credito che si finisce col dare alla propria energia creativa nel presentarla come fonte di verità. Non resta che porgerla come viaggio verso il mistero, avventura di una memoria immaginaria, sogno di un volo verso un’altra realtà, indeterminata e comunque tutta da ricostruire, sempre. Solo la poesia (questa volta sì) e l’arte in genere possono offrircela; proprio come il palloncino rosso del piccolo Golia (Mattia): desiderio inespresso e inappagato di un imprescindibile altrove, che lo schermo della finzione artistica (in questo caso - sulle belle musiche di Fiumanò Domenico Violi - seduttivamente offerto ai nostri occhi da Attilio Bonadies e Mario Guarini ed il loro appassionato team di collaboratori e interpreti) rende per pochi minuti possibile, addirittura visibile (potenza del cinema!), in un cielo che resta comunque “senza risposte”.

Francesco Tozza
Critico teatrale di InscenaOnline

IL VIDEO DI PRESENTAZIONE DEL CORTOMETRAGGIO

Martedì 27 luglio, nell’ambito del Giffoni Film Festival - sezione Verso sud – è stato proiettato il corto (14’, 38’’) Il pallone rosso, liberamente tratto da Il bambino Golia di Alfonso Gatto. Il video è stato girato a Salerno, prevalentemente nei luoghi gattiani del Centro Storico ed è stato interpretato da ragazzi che lo abitano. Sceneggiatura e regia di Attilio Bonadies e Mario Guarini. 

Sognava di volare, Alfonso Gatto:

il volo della poesia, per sfuggire alla realtà? 

“Nasciamo dalla nostra memoria, stupiti, […] a distinguere le cose nel lento sguardo, a ritrovarle insistentemente prima di poterle chiamare con un nome”: sembra una dichiarazione di poetica cinematografica, gettata lì a sottolineare la prevalenza dello sguardo (filmico) sulla parola (poetica); sono, invece, frasi di un poeta (Alfonso Gatto) che, comunque, prestò il volto e la sua penna alla decima musa, e alla poesia – alla letteratura in genere – riconobbe la straordinaria capacità ritentiva della memoria, il suo perenne affondo nella “matrice del ricordo”, per immobilizzare  il flusso vitale (o almeno tentare di farlo), sottraendolo all’indistinzione preformale; ottenendone, tuttavia, solo relitti di gesti e parole, atomi di un tutto in perenne dispersione. La letteratura, qui, parte svantaggiata: la scrittura è stabile e stabilizza; “la parola, che è sempre generale, ha sempre già mancato la cosa nominata” – sottolineava acutamente Blanchot, senza nulla togliere all’infinito intrattenimento che essa offre, all’insensato gioco di scrivere. Il cinema, forse, ha dalla sua qualcosa in più: la possibilità di un confronto più immediato, di un rapporto fattivo con il reale, senza ridondanze o ingorghi lessicali, con una sintassi più sobria, che – in apparenza almeno – rinuncia a  riprodurre una visione interiore. Non a caso la scrittura di Gatto si è lasciata caratterizzare da una progressiva (anche se non continua o rettilinea) scarnificazione prosastica, un abbandono del livello lirico a favore del narrativo, un’immersione nei generi misti e – se si tengono presenti i suoi manoscritti – il continuo ricorso a sforbiciature, furiosi tagli, colpi di penna blu, preceduti da categorici “No” che l’avvicinano al montaggio cinematografico, di cui è nota la concisione stilistica rispetto ai materiali di partenza (ma anche la molteplicità delle costruzioni possibili rispetto ad essi). La scrittura (non soltanto quella del poeta salernitano, ovviamente) prende atto, così, anche dei suoi limiti, del suo inutile, oltre che impossibile, inseguimento della vita (“o si vive o si scrive” – ripeteva giustamente Pirandello!), dell’eccessivo credito che si finisce col dare alla propria energia creativa nel presentarla come fonte di verità. Non resta che porgerla come viaggio verso il mistero, avventura di una memoria immaginaria, sogno di un volo verso un’altra realtà, indeterminata e comunque tutta da ricostruire, sempre. Solo la poesia (questa volta sì) e l’arte in genere possono offrircela; proprio come il palloncino rosso del piccolo Golia (Mattia): desiderio inespresso e inappagato di un imprescindibile altrove, che lo schermo della finzione artistica (in questo caso seduttivamente offerto ai nostri occhi da Attilio Bonadies e Mario Guarini ed il loro appassionato team di collaboratori e interpreti) rende per pochi minuti possibile, addirittura visibile (potenza del cinema!), in un cielo che resta comunque “senza risposte”.

                                                                    Francesco Tozza

                                                     Critico teatrale di ()        
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