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DIPLOMAZIA CULTURALE


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Diplomazia Culturale e Soft Power simposio Diplomazia Culturale e Soft power
Simposio - Diplomazia Culturale
29 aprile ore 10.00 - Aula Magna
Università degli Studi di Salerno 

La cultura, e con essa i processi di conoscenza, quale strumento possibile di dialogo tra i popoli, in grado di modificare gli scenari internazionali ed operare per la pace mondiale. Questo in sintesi il tema portante del Simposio offerto agli studenti e agli studiosi dell'Università degli Studi di Salerno.

Alla tavola rotonda erano presenti Vincenzo Pascale della Rutgers University, Stefania Giannini Rettrice dell'Università per stranieri di Perugia, Paolo Macry dell'Università Federico II di Napoli, Luigino Rossi, Preside della Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Salerno, Ivano Russo, Direttore della Fondazione MezzogiornoEuropa.

L'idea nasce dalla lunga esperienza di vita e professionale del Prof. Pascale, ormai da diciassette anni in America, e ruota intorno alla possibilità di creare negli Stati Uniti una "cattedra Federico II" in modo da favorire gli scambi di docenti tra università campane e quelle americane. E questo per due motivi: il primo risiede nella bassissima presenza di studenti e dottorandi italiani negli Stati Uniti, la seconda nella scarsa conoscenza all'estero del ricco patrimonio culturale, archeologico, storico campano e in generale italiano.

Sebbene l'Italia sia riconosciuta a livello mondiale come una superpotenza culturale, ha ricordato la Prof. Giannini, essa oggi stenta a posizionarsi quale paese di riferimento nei processi di internazionalizzazione culturale. In Italia, infatti, l'apertura agli studenti stranieri è recente ed è legata, soprattutto, al progetto Erasmus, che vede il nostro paese al terzo posto per l'incoming e al quarto per l'outgoing. In questo quadro esiste una differenza sostanziale tra il nord e il sud, che vede il primo più dinamico e propositivo rispetto al secondo. Andando a leggere il dato sulle presenze straniere emerge che sul 2% di studenti stranieri immatricolati e iscritti in Italia, il 25% proviene da paesi comunitari, il 35% da paesi non comunitari, l'11% proviene dai paesi africani, il 15% dai paesi asiatici con una prevalenza dalla Cina e il 7,2% dal Sud America. Ma come ricordato dalla Professoressa Giannini, la diffusione della cultura di un paese, consente a questo stesso paese di raggiungere due obiettivi: essere più attraente per gli studenti stranieri, migliorare la percezione esterna del paese. E un ruolo fondamentale lo possono svolgere le Università, esse stesse già network senza confini nel mondo, già collaudate come nel caso di Perugia nell'ospitare studenti provenienti da ogni parte del mondo. Ed in quest’ottica che si è mossa recentemente l'Italia avviando progetti congiunti di Campus. Sono in previsione, infatti, la costruzione di due campus bilaterali, uno in Turchia e uno in Egitto. Queste scelte, ha concluso Giannini, che vedono l'Italia porsi come ponte verso il Mediterraneo, sono vincenti poiché proprio in quest'area il nostro paese può esprimere al meglio la sua capacità attrattiva e di internazionalizzazione culturale.

Un altro aspetto dell'internazionalizzazione culturale, ha spiegato il Prof. Macry, è quello di esportare fuori dall’Italia gli studi storici sull'Italia. Il caso italiano trova l’interesse degli studiosi stranieri: il modello dualistico italiano, sintetizzato in nord-sud; il modello politico centrista, il fascismo e il corporatismo. Ma pochi se non pochissimi sono i lavori di storici che sono stati tradotti in lingua inglese. Pochissime sono le riviste europee e americane che ospitano interventi di studiosi italiani e tra queste poche si annovera il Journal modern Italian Studies, pubblicato nel Connecticut. In definitiva, ha detto Macry, è questo un problema di comunicazione che deve essere risolto, per non penalizzare ancor più gli studiosi italiani, spesso completamente ignorati da quelli stranieri. Si finisce così, ha concluso Macry, per scoprire che moltissimi inglesi hanno scritto di Garibaldi e non di Cavour, inseguendo lo stereotipo dell'Italia eccezionale, che finisce per penalizzare il paese.

Ma i processi culturali aprono scenari ancora più complessi quando la cultura viene messa a servizio della diplomazia, dando vita al soft power. E per spiegarlo il Prof. Rossi ha incentrato il suo ragionamento sul concetto di mente monocultulare e mente multiculturale. Uno degli effetti di una mente monoculturale è il fondamentalismo che vuole convertire l'altro, cambiarne l'identità, creando processi xenofobi e di razzismo. A ciò si contrappone la mente multiculturale il cui tratto fondamentale è la disponibilità ad aprirsi ad altri modelli, ad accettare il diverso, ad entrare in relazione diretta con gli altri. Esempi di questi due tipi di mente, ha ricordato Rossi, sono Bush e Obama. Entrambi hanno frequentato l'università, le elite di vertice, ma mentre l'opera del primo ha portato alla "guerra preventiva" e alle sue conseguenze, affermando una politica che vuole quale strumento principale la forza e solo in seconda battuta la cultura, il secondo ha fatto della cultura lo strumento primo del suo operato. Con Obama si apre un nuovo corso, che non è altro che la sintesi del suo bagaglio culturale: miscuglio etnico, scuole multietniche, università. Obama convince gli elettori che è possibile il cambiamento a partire dall'elezione di un presidente afro-americano. Egli propone tre principi e li persegue: rispetto, possibilità di dare fiducia, capacità di inclusione. La diplomazia di Obama si fonda sulla cultura e crea condizioni di cambiamento e ne sono esempio i suoi discorsi: a Praga Obama afferma che solo attraverso il disarmo vi può essere un processo di pace, a Il Cairo dichiara che l'Islam non è un nemico, che esso è parte integrante della storia dell'Occidente, a Mosca egli associa i russi nella partnership internazionale per la democrazia e i diritti umani, in Africa Obama invita gli Stati del continente a farsi avanti, ad essere partecipi e protagonisti del ventunesimo secolo. Obama è fautore di un percorso moderno, fondato sulla massima partecipazione per la costituzione di un ordine di pace basato su principi culturali.

In questo si sintetizza il soft power nelle relazioni internazionali e in questo solco i processi di internazionalizzazione culturale possono svolgere un ruolo prezioso, a partire proprio dalle Università.


beatrice benocci

beatrice.benocci@libero.it

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