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La favola dell': "Organico"


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La favola dell': "Organico"
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-Organico-

Pare niente, uno pensa ai pomodori, bucce di patata, cocce d’uovo, roba così, roba innocua insomma.

Neanche per il cazzo. Nei residui di materiale organico, e quindi a quel punto anche nelle nostre panze, c’è di tutto. Dai metalli pesanti alle salmonelle, dai diserbanti agli antibiotici ed estrogeni per fare intruciniare le mucche. Come fai a decidere, onestamente, dove mettere ‘sto cazzo di organico? Non è che ti puoi mettere, il lunedì sera dopo le nove mi raccomando, a fare la questione accademica sul quantitativo di mercurio che insaporisce i resti del merluzzetto che ti sei appena scofanato. Chiudi il sacchetto (biodegradabile, ah ah ah) e lo metti nell’apposito contenitore, che ti saluta con una fanfara di puzze.

Ok, questo è ciò che facciamo tutti noi separatori di monnezza, ogni sera dispari della semana salvo el domingo. Se ci volessimo porre seriamente il problema probabilmente non camperemmo più.

Più se ne sa, meno se ne vorrebbe sapere. Dalle nostre parti anche la lattuga è diventata un po’ sospetta, la lavi per bene col bicarbonato e speri che basti. E che cacchio, in fondo è solo lattuga. Non ci pensi, non ci vuoi pensare a quello che quasi certamente compone gli strati profondi di terreno, gli argini dei fiumi, le falde acquifere stuprate dal percolato. Vabbè, non sarà dappertutto così, saranno casi eccezionali, ma d’altronde la Campania quella è, non è che può fare il miracolo di digerire per decenni schifezze, diossine ecc. e poi regalarti lattughe, frutta e mozzarelle al di sopra di ogni sospetto. Da qualche parte dovranno andare a finire, tutti questi inquinanti. Ti dicono che, in effetti, di sostanze più o meno nocive la nostra zona è già bella farcita, per effetto dei molteplici vulcani che fanno zompare a livelli record il quantitativo di zolfo, cadmio, arsenico, piombo e compagnia bella nelle acque, ad esempio, del fiume Sarno. Appunto, dico io, non bastavano gli inquinanti naturali? Che saranno pure di origine geologica, ma sempre male fanno; il nostro organismo reagisce e compensa, ma di certo non è preparato al moltiplicarsi di certi attacchi. Se ci aggiungi tutto quanto su accennato, quello a un certo punto si rompe le palle e ti ritrovi a parlare con un medico perplesso.

So di essere paranoico, ma è solo questione di come affronti il problema. Ti dicono: occhio ai prodotti importati, chissà da dove vengono, chissà se e come sono stati controllati. Il problema dei prodotti nostrani, salvo l’orticello dietro casa se uno ce l’ha o la piantina di basilico da balcone, è che lo sappiamo benissimo da dove vengono, e possiamo tranquillamente immaginarne l’accuratezza nei controlli…


Lo vedete che così non si campa più?

O tutti con l’orticello privato, e comunque devi starci attento, oppure bisogna inserire il fenomeno nel marasma delle quotidiane minacce alla nostra salute, e buonanotte. Io ho il basilico, la menta e cose così sul balcone. Ovvio, me ne cibo senza patemi, e mi beo del profumo. Ma talvolta, mentre stacco le foglioline dalla pianta, mi vengono in mente i tanti tetti in eternit anni settanta che occupano parte del mio panorama condominiale. Ti dicono che l’eternit, se viene verniciato bene, non polverizza se non in rarissimi casi. Nel dubbio di poter far parte dei rarissimi, lavo comunque le foglioline di menta, vasenicola o quel che è. Non si sa mai, cerchi di mangiare più sano e poi magari ti frega il basilico. Lavo, poi asciugo, mi do del cretino e finalmente magno. Lo so che è ridicolo. Lo so che basta una camminata a piedi respirando lo smog del traffico per fare altrettanti danni, se non peggio. Rispetto al consumo di alcool e tabacco, è chiaro che se devo decidere cosa fa più male non vincono gli anticrittogamici che stanno su certa verdura. Mi piacerebbe però che potessimo guardare almeno all’organico come a qualcosa di innocuo, roba che si mangia e basta, senza dover verificare luogo e data di semina, concepimento, crescita e infine raccolta di ogni singola cibaria. Se è tutto così sereno ed innocente, perché devo tracciare vita, morte e miracoli della mia bistecchina? Perché questa dimostrazione che è tutto in regola, tutte queste rassicurazioni sul fatto che il percorso sia rigorosamente bio? Mi volete mettere ansia?

Ok, ho un pochino d’ansia. Ma devo pur nutrirmi. Mi fa un po’ incazzare la scritta “provenienza: Italia” che sta sull’etichetta col codice a barre azzeccata per esempio sui sacchi di patate. Dovrebbe farmi sentire meglio il fatto che la patana è italiana? Non mi interessa di dov’è, anche se dire “italiana” e basta è piuttosto vago, in questo caso mi preme che sia un prodotto che mi sazia senza cercare di uccidermi. Se è italiano o giapponese, e a quel punto se è di Salierno o di Belluno, mi interessa dal punto di vista dell’inquinamento legato ai trasporti oceanici di prodotti che possiamo benissimo procurarci sotto casa. Là sì che mi brucia se la mia acqua minerale si deve fare mille chilometri perché io me la beva. È perché qua fa schifo che mi devo comprare l’acqua del trentino? Dice: bevi l’acqua della fontana. Nella mia città è stato consigliato di non bollirci nemmeno la pasta, con l’acqua di rubinetto. C’è roba che a lungo andare fa maluccio. Niente di drammatico, e poi dipende dalle zone. A casa mia dopo un po’ ci trovi la sabbia, e fa un sacco di calcare da tutte le parti. Si vede che sono sfigato io. È chiaro che poi con quell’acqua ci cucino lo stesso e talvolta ci deglutisco aspirine se sono raffreddato. Ci faccio il caffè. È che tutte le volte ti viene il pensiero del cloro, del calcare e compagnia. Ma mica mi posso intossicare pure il caffè? In minime quantità, mi bevo pure un pochino di calcare, capace che viene pure meglio il caffettuccio con l’acqua così, finchè non mi si ottura la macchinetta e mi rendo conto di quanto esce dal rubinetto a parte l’h2o. Per bere, e bevo tipo cammello certe volte, ovviamente compro l’acqua minerale. Ciò vuol dire che almeno un misero camioncino ha dovuto inquinare qua e là per tutta la zona per fare in modo che io potessi dissetarmi senza pensieri, ben sapendo che altrimenti l’acqua del mio rubinetto mi farebbe crescere a lungo andare le stalattiti nella panza. Lo ammetto, sono complice. Sono corresponsabile della puzza del camionno. Senza che faccio tanto il saporito, come direbbe un mio amico: è pure colpa mia.


Tornando però a pummarole, melanzane, cucuzzielli ecc. mi viene da pensare che mentre per me potrebbe pure essere rassicurante sapere che la carcioffola che ingurgito è campana, per il brianzolo medio sarebbe una bella preoccupazione, e ci penserebbe due volte prima di comprarsela. Vicino a casa = genuino? È questo l’assioma del cucuzziello? Se è così, per certe zone questo assioma non vale, anzi funziona al contrario. Tracciare l’albero genealogico della carcioffola - non sia mai transgenica! -, conoscere il luogo di semina e di scoppamiento, chi ci ha menato sopra cosa, chi l’ha raccolta, come l’ha trasportata, come è stata conservata ecc. è roba davvero complicata. A un certo punto si sconfina nella fede, ti devi fidare e basta. Uno allora cerca di tornare alla fonte, sperando che la parlata avventurosa e il viso schietto del parzunaro che si ha di fronte siano garanzia di genuinità, e che si stiano portando a casa soppressate senza stress, pomodori amichevoli, vruoccoli innocenti. O il pescatore ancora umidiccio che ti mostra il pescato guizzante, il capitone fuggitivo, più fresco di così! Poi magari il vruoccolo ti fa fesso anche se aveva una bella faccia, o il capitone si rivela metallifero nonostante la vivacità, che ne so. L’ho detto, ad un certo punto è fede, uno decide che sarà il capitone ad avere la peggio, e se lo mangia senza paura. Non sarà questo vruoccolo a fermarmi, giammai! Roba così, insomma. Sennò come si fa? Uno dice: io mangio solo biologico. Ora, non è che lo smog o le falde acquifere inquinate si fermano a distanza di sicurezza per rispetto delle coltivazioni “biologiche” . Dipende da dove stanno i cacchio dei campi coltivati, se sono troppo vicini ad una fonte di inquinanti ci puoi stare attento quanto ti pare, ci troverai comunque degli inquinanti. Hai voglia a chiamarlo “biologico”. Ergo, gente, a questo punto magnate senza troppi pensieri. “Biologico” o meno, davvero non sarà il vruoccolo ad estinguere il genere umano, non abbiate paura. Al massimo potrete passare una brutta nottata a causa di quelle cozze che vi sembravano così veraci, ma morire proprio la vedo difficile. È altro, purtroppo, ciò che ci secca in corpo certe volte. Sarebbe bello arrendersi soltanto all’assalto del cibo, più spesso ti ciacca la qualità di merda dell’aria e anche del suolo, oltre alla caterva di danni autoinflitti. Se qualcosa deve nuocermi, che almeno abbia un buon sapore, dico io. Ma ripeto, non ci pensate troppo a questi fatti pesanti. Non ne vale la pena, e non si modifica poi tanto la situazione. Magari evitate ai vostri cuccioli, se ne avete, di intossicarsi come ha fatto la nostra generazione, che di tante cose non sapeva un catanazzo. Fatevi l’orto, se appena potete. Pure sul balcone. Cercate di produrre il più possibile da voi ciò che mangiate, oppure fatevi la camminata settimanale fino al parzunaro di cui vi fidate di più. Idem per pescivendolo e chianchiere, se siete carnivori. Andate a fiducia, ma soprattutto annusate. Il vostro nasino non mente, se non è cosa ve lo farà capire chiaramente. Perdete un po’ di tempo a scegliere cosa mangiare, vi prenderete più cura di voi stessi e delle persone che amate. Guardate le vostre verdure nelle palle degli occhi mentre crescono e maturano, se è possibile. Crescersi anche solo una piantina di peperoncino è una bella soddisfazione, ci metti la cura, ti adegui ad un ritmo naturale. Insomma, cercate di difendervi, ma continuate a gustarvi la cena nel frattempo. La vita è breve e spesso stronzella, anche se sei salutista.

Ora scusatemi, è il momento del sacchetto. Mi incappotto per bene, agguanto l’organico per le recchie e, sapete, in questo momento non mi fa nessuna paura il possibile contenuto di scorie di quelle bucce di patata, culi di pomodoro, resti di uova e scorze di formaggio che mi accingo a conferire nell’apposito ecc. ecc.. Sacchetto, sappi che non mi fai più paura di quello della signora del primo piano. A giudicare dall’odore di quella munnezza, tu sei un sacchetto a salve, caro mio. 180 passi, più o meno, ed ecco che ho trasferito la mia puzza in campo neutro. Rincaso infreddolito, e al posto del vecchio sacchetto ce n’è subito un altro, vuoto, pulito, ancora ignaro di ciò che sta per inzaccherarlo. Domani è un altro giorno, si vedrà. Non vi disturbate ad andare in ansia, a quello ci penso io. Ci vediamo dall’altra parte dello specchio.

Luca Buoninfante

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