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La favola dell': "Organico" - Seconda parte


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Indice
La favola dell': "Organico"
Seconda parte
Terza parte
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Lo vedete che così non si campa più?

O tutti con l’orticello privato, e comunque devi starci attento, oppure bisogna inserire il fenomeno nel marasma delle quotidiane minacce alla nostra salute, e buonanotte. Io ho il basilico, la menta e cose così sul balcone. Ovvio, me ne cibo senza patemi, e mi beo del profumo. Ma talvolta, mentre stacco le foglioline dalla pianta, mi vengono in mente i tanti tetti in eternit anni settanta che occupano parte del mio panorama condominiale. Ti dicono che l’eternit, se viene verniciato bene, non polverizza se non in rarissimi casi. Nel dubbio di poter far parte dei rarissimi, lavo comunque le foglioline di menta, vasenicola o quel che è. Non si sa mai, cerchi di mangiare più sano e poi magari ti frega il basilico. Lavo, poi asciugo, mi do del cretino e finalmente magno. Lo so che è ridicolo. Lo so che basta una camminata a piedi respirando lo smog del traffico per fare altrettanti danni, se non peggio. Rispetto al consumo di alcool e tabacco, è chiaro che se devo decidere cosa fa più male non vincono gli anticrittogamici che stanno su certa verdura. Mi piacerebbe però che potessimo guardare almeno all’organico come a qualcosa di innocuo, roba che si mangia e basta, senza dover verificare luogo e data di semina, concepimento, crescita e infine raccolta di ogni singola cibaria. Se è tutto così sereno ed innocente, perché devo tracciare vita, morte e miracoli della mia bistecchina? Perché questa dimostrazione che è tutto in regola, tutte queste rassicurazioni sul fatto che il percorso sia rigorosamente bio? Mi volete mettere ansia?

Ok, ho un pochino d’ansia. Ma devo pur nutrirmi. Mi fa un po’ incazzare la scritta “provenienza: Italia” che sta sull’etichetta col codice a barre azzeccata per esempio sui sacchi di patate. Dovrebbe farmi sentire meglio il fatto che la patana è italiana? Non mi interessa di dov’è, anche se dire “italiana” e basta è piuttosto vago, in questo caso mi preme che sia un prodotto che mi sazia senza cercare di uccidermi. Se è italiano o giapponese, e a quel punto se è di Salierno o di Belluno, mi interessa dal punto di vista dell’inquinamento legato ai trasporti oceanici di prodotti che possiamo benissimo procurarci sotto casa. Là sì che mi brucia se la mia acqua minerale si deve fare mille chilometri perché io me la beva. È perché qua fa schifo che mi devo comprare l’acqua del trentino? Dice: bevi l’acqua della fontana. Nella mia città è stato consigliato di non bollirci nemmeno la pasta, con l’acqua di rubinetto. C’è roba che a lungo andare fa maluccio. Niente di drammatico, e poi dipende dalle zone. A casa mia dopo un po’ ci trovi la sabbia, e fa un sacco di calcare da tutte le parti. Si vede che sono sfigato io. È chiaro che poi con quell’acqua ci cucino lo stesso e talvolta ci deglutisco aspirine se sono raffreddato. Ci faccio il caffè. È che tutte le volte ti viene il pensiero del cloro, del calcare e compagnia. Ma mica mi posso intossicare pure il caffè? In minime quantità, mi bevo pure un pochino di calcare, capace che viene pure meglio il caffettuccio con l’acqua così, finchè non mi si ottura la macchinetta e mi rendo conto di quanto esce dal rubinetto a parte l’h2o. Per bere, e bevo tipo cammello certe volte, ovviamente compro l’acqua minerale. Ciò vuol dire che almeno un misero camioncino ha dovuto inquinare qua e là per tutta la zona per fare in modo che io potessi dissetarmi senza pensieri, ben sapendo che altrimenti l’acqua del mio rubinetto mi farebbe crescere a lungo andare le stalattiti nella panza. Lo ammetto, sono complice. Sono corresponsabile della puzza del camionno. Senza che faccio tanto il saporito, come direbbe un mio amico: è pure colpa mia.



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