La trilogia degli occhiali - prima nazionale
Giovedì 03 Febbraio 2011 13:34
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La Trilogia degli occhiali, prodotto dal Teatro Stabile di Napoli, Compagnia Sud Costa Occidentale di Palermo, Crt di Milano e Théâtre du Rond-Point di Parigi sarà rappresentato al S. Ferdinando di Napoli fino al 6 febbraio.
Lo spettacolo sarà in Francia l’11 e 12 febbraio al Festival di Liège, a Milano dal 15 febbraio al 5 marzo al Teatro dell’Arte e in scena a Roma dal 9 al 27marzo al Palladium, per poi passare da Vicenza, Cagliari, Genova, Venezia, Buti, Taranto, Torino, Asti, Noto e Rouen.
Non è proprio acquasanta quella che l'attore dalla maglia sbrindellata, seduto - quasi in proscenio - sulla prua rossazzurra di un aborto di barca, spruzza con la bocca sugli spettatori della prima fila in attesa che inizi lo spettacolo.
Si presenta così, in maniera volutamente provocatoria, la prima pièce della trilogia di Emma Dante in questa attesissima prima nazionale dopo l'esordio (2010) della sola Acquasanta al Teatro Valle di Roma.
Lo spettacolo procede attraverso tre rappresentazioni autonome che hanno come sottile - ma determinante - elemento comune gli occhiali, inforcati all'occorrenza dai protagonisti delle diverse storie: “Creature che usano gli occhiali per difendersi dal mondo e per guardarlo come meglio credono..." (Emma Dante).
Perciò 'o Spicchiato, (un intensissimo Carmine Maringola) l'uomo solo ancorato a quel simulacro di barca con delle corde, alla maniera delle marionette del teatro dei pupi, riavvia l'orologio del tempo caricando un nugolo di contaminuti che dondolano ticchettanti sul suo capo, così come le minuscole ancore-gabbiani che fluttuano nello spazio ad ogni movimento di richiamo di corde-braccia-schiena.
E poi la sua voce, in un suggestivo idioma napoletano di periferia suburbana che, in quella terra straniera di nessuno della terraferma rievoca a più voci, alla maniera di un cuntastorie, un suo epico ed improbabile salvataggio della nave durante una tempesta.
Ma quella nave ha preso il largo senza di lui ed il mare gli porta solo - con intensa teatralità - gli echi lontani delle voci di marinai e del capitano lasciandogli sulla bocca l'amara bava dell'abbandono e della povertà .
Così "indifferentemente" la sua voce entra in disperante sintonia con quella di Sergio Bruni, dopo il tormentoso, inutile e struggente canto d'amore (per il mare) di Maruzzella.
Anche Nicola, il giovane protagonista de Il castello della Zisa (il bravo Onofrio Zummo) possiede strabici occhiali: immobile su una sedia, vede solo l'immaginifico castello della sua infanzia e non risponde agli stimoli di giochi infantili di due suore-infermiere (le efficaci e sincroniche Claudia Benassi e Stéphanie Taillandier). D'un tratto il miracolo: Nicola riprende lentamente i movimenti, poi parla, corre, fa salti mortali, racconta, si eccita, si masturba, infine l'urlo. Quindi, di nuovo, l'immobilità mentre cala l'autistico silenzio della morte.
Nella terza pièce - anticipata nel ridotto del teatro durante il primo intervallo da uno struggente ballo sulle note di Parlami d'amore Mariù cantata da Vittorio De Sica - dal titolo Ballarini (i suggestivi e brillanti Sabino Civilleri ed Elena Borgogni), una vecchissima donna, curva come una elle rovesciata, apre un baule d'epoca, accende il firmamento ed infila faticosamente una giacca da cerimonia all'amante di una vita, per iniziare con lui un grottesco ballo erotico. Il vecchio, poi, estrae un orologio dal taschino e comincia così il conteggio a ritroso di una vita, con la coppia che si toglie la maschera da vecchi, inforca gli occhiali riprendendo a ballare la propria giovinezza e la storia di un amore...(continua)
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E' così difficile "raccontare" il teatro, in particolare quello della palermitana Emma Dante.
E' un teatro che si affida poco alla parola e molto alle suggestioni visive e sonore: luci, oggetti, giochi, costumi, voci, rumori, carillon, musiche, danze, corpi grotteshi che si agitano, volti che si deformano, muscoli che si contraggono toccando e perturbando sensi e coscienze, anche di spettatori incalliti.
Gli oggetti (corde, timone, prua, berretti, crocifissi, maschere, bambole, palle, birilli, cerchi, carillon, giacche, bauli, veli di sposa) pur ridotti all'essenziale, raccontano essi stessi la storia e diventano il corpo e la voce degli attori sul palcoscenico.
Posso qui richiamare, dopo più di due ore di intensa e suggestiva rappresentazione, solo alcuni dei tanti momenti di particolare intensità ed attrazione: la rievocazione polifonica della tempesta, la vestizione mattutina delle suore-infermiere, le rosse bambole-carillon-castello continuamente ricaricate sotto tagli obliqui di luce, i tanti balli in successione che raccontano una storia d'amore nel tempo, sono momenti di gran teatro, da antologia.
Il teatro di Emma Dante "racconta" il tempo richiamando, alla maniera di Leopardi, il passato perché la memoria è la radice essenziale e vitale per l'avvento salvifico della poesia.
Il suo è anche teatro "religiosamente civile" perché denuda e purifica l'uomo scavando profondamente nelle pieghe (e piaghe) della solitudine, della nevrosi, dell'emarginazione e della violenza del mondo.
Ma sopratutto, è un teatro di grande qualità che riesce ad esaltare la "bellezza" del deforme e del grottesco con messinscene che hanno incantato l' Europa e raccontato di un' Italia e di un meridione ricco di genialità e di talenti.
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Attilio Bonadies
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