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Interessi nazionali e particolarismi territoriali: i centocinquant'anni dell'Unità d'Italia


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anniversario 150 anni unità d'italia A centocinquant'anni dall'unificazione italiana - Interessi nazionali e particolarismi territoriali

Convegno di Studi
Fisciano, Amalfi, Salerno
21-23 ottobre 2010

A poche ore dalla fine della tre giorni di convegno dedicata ai centocinquant'anni dell'unificazione italiana promossa dall'Università di Salerno, viene voglia di capire che aria si respira intorno a questa celebrazione. E il primo segnale arriva proprio dal Capo dello Stato che in occasione della manifestazione di Quarto del maggio scorso ha ribadito con forza che celebrare l'Unità d'Italia "non è tempo perso, né uno spreco di denaro". Ma è di questi ultimi giorni la notizia che il 17 marzo 2011, ricorrenza dell'unificazione, non sarà festa nazionale come invece deciso precedentemente. E così da una veloce lettura di giornali, blog e siti dedicati all'evento emerge come intorno alle celebrazioni si muovano dinamiche politiche e istituzionali divergenti, a volte contrastanti, spesso speculative; così come tanti sono i commenti dei cittadini che oscillano tra il disinteresse, la polemica o la partecipazione più sentita. Sicuramente il momento di crisi economica che investe da tempo il paese non contribuisce a sedare le polemiche, sino a indurre i diversi attori a riproporre in modo ossessivo la consueta querelle nord-sud.

Il titolo scelto per il convegno è quanto mai calzante: A centocinquant'anni dall'unificazione italiana, Interessi nazionali e particolarismi territoriali. E la domanda sottostante è: a chi giova oggi e a chi ha giovato in passato l'unificazione? E ancora: è mai esistito o esiste oggi un sentimento di unità nazionale nel paese? Il Convegno, che ha visto avvicendarsi studiosi ed esperti, italiani e stranieri, chiamati a trattare il tema dell'Unità dal punto di vista economico, sociologico, politico e istituzionale, ha avuto il grande merito di aver ben delineato, a volte chiarito, i tanti aspetti del processo di unificazione italiana, a partire dagli ideali risorgimentali.

Nell'introdurre i lavori del Convegno Luigi Rossi ha sottolineato con forza l'importanza della memoria storica, delle riproposizione dei processi evolutivi di un paese, delle idee e dei valori che hanno contribuito al formarsi di una Nazione; tutto ciò contro la mistificazione, contro l'uso distorto degli eventi storici o la sempre più frequente semplificazione operata dai media. L'enfasi, ha sottolineato Rossi, sulle problematiche risorgimentali potrebbe aiutare a capire importanti cesure ed i tornanti della storia nazionale, come la crisi del primo dopoguerra e l'avvento del Fascismo, la Resistenza-secondo Risorgimento, i tentativi di riforma dello Stato unitario per far fronte all'evolversi delle esigenze dei cittadini, in una prospettiva non settoriale per superare i limiti e condizionamenti storico-culturali, se non altro per capire fino in fondo perché dovremmo costituire l'altra Europa.

Come ricordato da Giuseppe Cacciatore è possibile comprendere il Risorgimento, cioè le dinamiche storiche, solo inserendolo nel solco della politica estera piemontese degli anni cinquanta dell'ottocento e solo nella politica estera italiana nel decennio tra il 1860 e il 1870. Altro è l'idea di unità, di Italia, che come sottolinea lo stesso Cacciatore, è già dentro il "sentire comune", già nel settecento, nell'arte, nella cultura, quindi ancor prima delle vicende risorgimentali.

Il primo nodo intorno al processo di unificazione è legato al Regno delle due Sicilie e alle sue modalità di adesione. Come ricordato da Luigi Bruti Liberati, lo stesso Cavour scriveva che l'Italia del Settentrione è fatta, non vi sono più piemontesi, lombardi, toscani, però vi sono i napoletani per i quali lo stesso Cavour prevedeva un governo di libertà, affinché in venti anni divenissero la provincia più ricca d'Italia. In realtà sappiamo che ciò non avvenne e che, al contrario, le regioni meridionali furono ben poco comprese nelle loro necessità. Come ricordato da numerosi relatori, Napoli - intendendo con essa le regioni meridionali - non aveva sviluppato al momento dell'unità processi di self government, né tantomeno di sviluppo economico del territorio. La rivoluzione risorgimentale nel Mezzogiorno, ha affermato Adalgiso Amendola, può essere definita un'occasione mancata, ma non nel senso di aver impedito lo sviluppo economico di queste terre, (ciò non sarebbe stato comunque possibile data l'assenza dei necessari presupposti), bensì per non aver promosso l'evoluzione sociale ed economica, limitandosi ad una nuova e mera allocazione della proprietà. Un compito questo, come ricordato da Jean-Yves Frétigné, che avrebbe potuto assumere la borghesia meridionale dopo aver contribuito all'unità (anche contro il brigantaggio), ma che in realtà non raccolse.

E l'arretratezza economica del Sud è un tema ricorrente. Lo stesso Francesco Saverio Nitti, ricorda Alfonso Conte, scriveva: il Sud sfrutta le risorse pubbliche e vi contribuisce ben poco. In realtà se guardiamo ai benefici che i diversi territori italiani hanno avuto dall'unificazione, le regioni meridionali ne escono penalizzate in termini di infrastrutture e non solo. La stessa Cassa del Mezzogiorno, in funzione dal 1950 al 1992, ha avuto più un ruolo di distribuzione di fondi ordinari che non straordinari, per non parlare dei tanti industriali che hanno episodicamente e senza una vera progettualità investito a Sud grazie ai finanziamenti pubblici. Mentre Alfonso Conte assegna un compito importante agli intellettuali delegandoli a porre le basi di un nuovo patriottismo in grado di realizzare il progetto liberale e di attivare la costituzione repubblicana, Domenico Maddaloni individua nella Terza rivoluzione, quella Verde, che passa attraverso le energie rinnovabili e lo sviluppo ecocompatibile, il processo in grado di far decollare le regioni meridionali e portarle allo stesso livello di sviluppo economico e di reddito di quelle settentrionali.

Infine anche il federalismo, tanto dibattuto in questi mesi e anni, non è un tema nuovo nel processo di formazione dello stato italiano. Lo stesso Carlo Cattaneo, ha ricordato Giuseppe Foscari, proponeva l'ipotesi federalista. Il federalismo di Cattaneo non metteva in discussione la coesione nazionale ed era ispirato al principio di equità, nonché di superamento del divario economico tra Nord e Sud.

E' da considerare grave, ha sottolineato Frétigné in chiusura di convegno e rispondendo ad alcune nostre domande, il crescente divario tra lo sforzo di capire il Risorgimento e la semplificazione dilagante; è grave maggiormente in una democrazia dove la comunità è in grado di capire. Esiste, ha dichiarato ancora lo studioso francese, la necessità di recuperare i grandi pensatori, non perdere la storia delle idee, non lasciar cadere l'ottocento nell'oblio. Perché se essere francesi è sentirsi repubblicani, essere italiani trova fondamento nel Risorgimento.

Tirando le fila di queste giornate emerge con chiarezza che il senso di unità è sempre esistito e continua a esistere; esso resiste nonostante tutto, malgrado la querelle nord-sud che trova fondamento nel divario economico, e trova soluzione negli accorati appelli al "crescere insieme del paese" della CEI, del Presidente Napolitano e della stessa, anche se criticabile, classe politica meridionale. Un insieme che è italiano. E che, come affermato da Cacciatore, rende l'Italia un "esempio virtuoso in Europa dello stare insieme delle identità e delle differenze".


articoli correlati: Questione Meridionale. Il documento della Conferenza Episcopale Italiana

http://www.kayenna.net/dovere-di-cronaca/589.html


beatrice benocci

beatrice.benocci@libero.it



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