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Tra il carcere e il sagrato


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Mura alte crepate da capperi tenaci
con profumi ormai sbocciati e vivi
Fortezza travestita con metallo gabbia
e dentro sogni speranze e pensieri a chili
pentimenti errori orrori e amori
promesse andate rapite al vento

Fuori un sagrato teatro disteso assorto
sotto voci uscenti da celle bolle con
mescola di sangue pelle e ombre

Fuori auto in sosta e passeggeri felliniani
dai capelli tinti ma con rughe sulle mani
le loro radio con voci di un’Italia passata
fitta d’illusioni e di sorrisi ormai sfioriti
e ancora altri autisti solitari in sosta
da sguardi persi e boccheggianti muti
pacchetti di sigarette su cruscotti sporchi
spersi  scoloriti verso orizzonti storti


In tutto questo strano strazio poi ti chiamo
per lasciare qui fuori i nostri fiori

di una forza amorevole di vita

ancora non piegata

ma che si spera sia
centrata
come l’aiuola del platano verso cui

il mangiatore di mele seduto di fronte
centra con bravura e precisione estrema
anche rimbalzando sul  selciato del sagrato.

                       Valeriano Forte

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